“Dis-persi”, il ritiro scolastico come manifestazione del disagio giovanile” di Michela La Stella

Il ritiro scolastico è un fenomeno che raramente fa notizia. “Non ci sono spargimenti di sangue, nessun allarme solo un branco di ragazzi e ragazze con poca voglia di studiare”. A seconda dei punti di vista si sente parlare di giovani vittime della crisi, che preferiscono rimboccarsi le maniche e andare a lavorare; oppure di fannulloni che perdono le giornate al bar a spese dei genitori. Secondo l’ISTAT però l’abbandono degli studi prima del completamento del sistema secondario superiore è, attualmente, del 12,9% e come sottolinea il MIUR a lasciare la scuola media e superiore sono soprattutto i maschi, gli alunni stranieri, i residenti nel Mezzogiorno e coloro che sono già in ritardo scolastico.

Cosa si intende per “dispersione scolastica”?

Il fenomeno, in generale, indica una mancata, incompleta o irregolare fruizione dei servizi dell’istruzione da parte dei giovani in età scolare. Tuttavia, si tratta di un fenomeno complesso e sfaccettato, con cause ed effetti anche lontani nel tempo e difficilmente misurabili nella loro interezza. La dispersione non si identifica unicamente con l’abbandono, ma riunisce in sé un insieme di fenomeni quali: irregolarità o passività nelle frequenze, continui ritardi, mancate ammissioni agli anni successivi, ripetizioni ed interruzioni o nell’accumulo di lacune che possono inficiare le prospettive di crescita culturale e professionale che possono sfociare nell’uscita anticipata dei ragazzi dal sistema scolastico.

Soprattutto in questi ultimi anni, lo stato pandemico ha portato alla luce un fenomeno sociale, disagio della generazione adolescenziale, che si manifesta già da anni. Purtroppo, soprattutto la Dad, anche se ha avuto il merito di garantire un legame e una continuità con la scuola, non si è rivelata un’esperienza del tutto d’aiuto e sostegno alla crescita in quanto insegnanti, genitori e ragazzi non erano pronti ad un cambiamento di mentalità.

L’abbandono scolastico sottolinea e rappresenta un altro importante fenomeno strettamente collegato: il ritiro sociale. Questo comprende l’abbandono scolastico, l’isolamento dagli amici e coetanei, verso le attività di interesse e lo sport e in generale verso la vita all’aperto in favore di una chiusura nella “propria stanza”. Questo disagio, che mette a dura prova sempre più famiglie, è emerso con tutta la sua drammaticità con la pandemia e oggi è in aumento in Italia e in tutta Europa.

Perché i ragazzi abbandonano la scuola?

 Molti sono i fattori di rischio che possono portare uno studente a lasciare precocemente la scuola: alcune sono motivazioni soggettive come difficoltà cognitive e di apprendimento, demotivazione, senso di inadeguatezza, condizioni socio-economiche e familiari, come il titolo di studio dei genitori, il sentimento generale della famiglia verso lo studio e la partecipazione scolastica.

Altri fattori sono più legati alla scuola e al contesto, al rapporto con docenti e compagni, alla qualità della didattica attuata, alle basse aspettative nella scuola sulla capacità del sistema formativo di incidere sulle opportunità future degli studenti.

L’esordio del ritiro, e dell’abbandono scolastico, appare però essere anche strettamente legato ai momenti di passaggio dei ragazzi (alla fine dei quadrimestri, terza media o in quarta superiore) sembra manifestarsi quindi in momenti in cui si affaccia un cambiamento evolutivo. Questo potrebbe essere dovuto non solo ad un evento traumatico propriamente inteso, ma potrebbero esserci stati, nel corso della vita di quel ragazzo degli episodi che gli hanno fatto percepire di “non essere adatto a crescere” oppure di doverlo fare “in modo performante”. Magari per delle aspettative forti che sente di dover rispecchiare nei confronti dei propri genitori e questo non fa altro che sottolineare e far emergere anche alcuni dei sentimenti propri dell’adolescenza: la vergogna e l’inadeguatezza. A volte potrebbe capitare che davanti ad un insuccesso (anche scolastico) decidano di abbandonare perchè non si sentono compresi, o per paura di deludere i propri genitori ma poi, spesso capita, che magari coltivino in segreto degli interessi e delle curiosità.

Risulta necessario quindi recuperare e avvicinare questi ragazzi nel punto in cui si sono fermati, rassicurarli e sintonizzandoci sulle loro difficoltà e sul particolare e intenso periodo che stanno attraversando, così, entrando in ascolto con il deserto relazionale che stanno vivendo, poter fornire loro “un’uscita di sicurezza”, una possibilità nuova di potersi sperimentare e poter esplorare.

Sarebbe importante riuscire a comprendere cosa questi ragazzi vogliono comunicare abbandonando gli studi, non farli sentire sbagliati ma anzi cercare quanto più di accogliere quel bisogno di separarsi e di compiere una scelta. Cercando d’altra parte di proteggerli e di comprendere il bisogno che quel desiderio agito nasconde. Magari si potrebbe pensare di proporre delle attività che possano riattivare i pensieri, che possano spingerli a sperimentare, a conoscere ed esplorare nuove parti di sé che appaiono più funzionali, a costruire relazioni con gli altri, sia coetanei che adulti più competenti per poter sostenere la complessità del mondo.

Ragazzi Svogliati o Sofferenti?

Ultimamente molte sono le richieste di aiuto da parte dei genitori e insegnanti che hanno sempre più fatica a coinvolgere e ingaggiare i ragazzi. E spesso, basandosi su un primo dato osservativo, si definisce “svogliato” un ragazzo che fa fatica ad uscire da una situazione di ritiro, che preferisce rimanere in camera sua senza (apparentemente) interessarsi del mondo esterno. Se osservassimo meglio e in maniera più approfondita ci potremmo rendere conto di quanto questi adolescenti soffrano, si sentano bloccati, incapaci, timorosi di fare passi falsi, a volte si sentono senza futuro ne speranza sentendo come sospesa la progettualità della loro vita e di conseguenza, nella maniera più adattiva: si ritirano, abbandonando sogni desideri e bisogni e non riuscendo a comunicare e relazionarsi al mondo reale esterno, se non tramite mezzi digitali.

La scuola, per i ragazzi, non rappresenta solo il luogo di apprendimento, ma è luogo di crescita, sviluppo personale e dunque è spazio per sperimentare la relazionalità. Un luogo dove ci si riscatta, dove si assume un ruolo socialmente riconosciuto, dove si persegue un obiettivo fondamentale per ogni ragazzo che altrimenti non riuscirebbe a riconoscersi. La scuola è un luogo dove ci si confronta, si cresce e ci si forma a prescindere dagli apprendimenti e dalla didattica intesa in senso stretto. A scuola ogni cosa dovrebbe essere “pedagogia” grazie al confronto con tutte le figure presenti ciò che invece è mancato nell’ultimo anno, scegliendo di farne a meno, in molti casi “come se nulla fosse”. In questo spazio possono inserirsi e agire diverse dinamiche. Dietro al desiderio di abbandonare la scuola, forse ci può essere qualcosa di più della superficiale “svogliatezza e non interesse allo studio”.

Il disagio giovanile richiede quindi una risposta complessa, fatta dell’integrazione di più professionalità presenti nell’ambiente scolastico e dalla cooperazione di tutti gli “attori” che ruotano attorno alla loro vita e che contribuiscono alla loro crescita. Questo “disagio” o tutte quelle difficoltà che se trascurate possono condurre ad un disagio conclamato, richiedono l’attiva collaborazione di operatori, insegnanti e famiglia.  Non scordiamoci che stare a scuola comporta fare una scelta sul proprio futuro, investire tempo e impegno in modo concreto in qualcosa per sé.

Occorre sicuramente rifletterci e applicare un pensiero orizzontale tra tutte le figure che ruotano intorno ai ragazzi.

Cosa poter fare?

Le difficoltà di questi ragazzi, inoltre, sembrano rispecchiarsi anche nei genitori che vivono un senso di impotenza e frustrazione di fronte a una problematica “nuova” che i propri figli fanno emergere.

Sicuramente, come sottolineato dall’approccio caso-specifico proposto dalla Control Mastery Theory (CMT; Weiss, 1993, Silberschatz, 2005, Gazzillo, 2016) sarebbe sempre opportuno valutare ogni situazione a sé. Ogni ragazzo ha una storia, familiare ed evolutiva e quello che agisce e le decisioni e scelte che prende dovrebbero sempre essere lette in un’ottica più ampia, cercando sempre di comprendere quali siano le sofferenze, le convinzioni e credenze alla base di tali sofferenze e disagi cercando quanto più possibile avere atteggiamenti e comportamenti diversi per ciascuno, sempre molto sintonizzati sui loro bisogni e sulle loro richieste.

Proprio nella sperimentazione quotidiana di relazioni più vere sintonizzate sui bisogni reali a più livelli (sia a casa che a scuola) che i ragazzi posso essere sostenuti nel costruire un nuovo modo di pensare anche a sé stessi e alla propria crescita, pensare a degli obbiettivi sani e piacevoli e compiere delle scelte in direzione degli stessi.

 

 

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